“Da giovani il pensiero va continuamente a questa o quella cima, a questa o quella parete, di stagione in stagione sempre più difficili, dal terzo al quarto al quinto e, chissà, forse anche al sesto grado. Le dosi della felicità commisurate alla scala di Monaco. Ma, passando gli anni, viene il giorno che ci si volta cercando nei ricordi. E allora con stupore ci si accorge che le cose più belle lasciate dalla montagna dentro di noi – quei lampi, quelle fuggevoli visioni che al nostro cuore simboleggiano quasi il meglio della vita, e che risorgono qua e là nei sogni notturni – non corrispondono alle difficoità delle scalate. Ascensioni di severe impegno per cui una volta andammo orgogliosi sono inesplicabilmente svanite nel nulla. E restano invece, nitidissimi, altri momenti vissuti magari su rupi e ghiacci di modesta levatura: l’intimità segreta di un camino, l’imbuto assorbente di uno sdrucciolo che sprofonda nell’ombra, la nebbia che si ingolfa fra i fantasmi della cresta, la nicchia, il ballatoio, la pencolante cornice, quei luoghi cosi solitari e misteriosi Non la vittoria importa dunque, alla resa dei conti, ma la oscura potenza di certe immagini in cui la montagna, non si sa come, ha concentrato per noi la sua magia. Qui appunto, mi sembra che stia l’arte del fotografo di montagna. Di là del problema tecnico, di là della sapiente inquadratura, fissare per sempre quelle rivelazioni poetiche. Nelle quali anche gli altri, che non c’erano, ritroveranno tuttavia un pezzo di se stessi.” – Dino Buzzati ( dal catalogo della mostra di Emilio Frisia – 1959 – Milano)
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