Ricordo di Angelo

Ricordo di Angelo

Ricordo di Angelo – 1957
Tratto da “C’è sempre per ognuno una Montagna” di Giancarlo Bregani ( 1930-1987) – Premio Maria Brunaccini letteratura di montagna 1969)
EDIT: Nuova edizione 2019 per Ediciclo editore a 50 anni dalla sua prima pubblicazione
www.ediciclo.it

Premessa
Forse il più toccante tra i racconti del libro di papà. Angelo era il suo doppio, l’amico con il quale si condivide e si vive l’elemento più importante di un’esistenza: l’amicizia. Un legame fortissimo e intenso rafforzato da una giovinezza passata in parete, sempre insieme, sotto il sole, nella bufera, tra i fulmini come descritto in uno dei racconti qui postati. Angelo era il compagno con il quale ha condiviso la sua passione più grande: la montagna. Quella stessa montagna che un giorno, purtroppo,  l’ha tenuto con sé.  – Era tanti tanti anni fa. Ora, sono certo, saranno di nuovo insieme, olte il blu, attaccati alla quella stessa corda che un tempo li ha visti felici. Come lo sono io nel pensarlo. – Buona lettura ( A.Bregani)

Angelo Vanelli

9 ottobre 1957.
Sul quotidiano «La Prealpina» scrivevo un articolo, principiando con queste frasi:«È ormai trascorso un mese dal giorno in cui giunse la notizia che la guida alpina Angelo Vanelli non aveva fatto ritorno a Macugnaga da una ascensione al Monte Rosa. Tra le nebbie e la spaventosa bufera della Punta Dufour si era compiuto un destino per lungo tempo avverso. Angelo Vanelli è scomparso silenziosamente, lasciando dietro di sé una infinita serie di congetture, così come silenziosamente era vissuto, aprendosi la strada, con stupenda perseveranza, verso i vertici della scala gerarchica dell’alpinismo nazionale».

Sono passi ormai dimenticati quelli di tanti anni fa, nella tremenda settimana che andava dall’8 settembre, domenica, quando Angelo e Sergio salivano la parete Est del Monte Rosa, al venerdì 13 successivo, quando tutte le squadre di soccorso, accecate e frastornate dalla terribile bufera mai sopita, decisero di sospendere definitivamente le ricerche. Ma se sono passi dimenticati ormai per molti non lo sono certamente per  la madre di Angelo, per i genitori di Sergio Ferrario, e per me. Da anni ed anni, da quei giorni atroci, io mi domando: «come, perché?». Devo domandarmelo, tentando invano di trovare una risposta che mi aiuti anche a ricomporre nella sua integrità la mia stessa figura di alpinista. Non sono passi dimenticati per me, anche per poter parlare di Lui ai molti che, di fronte a sciagure, a lutti del genere, dopo il primo attimo di compassione generica per una giovane vita spentasi, concludono la loro breve umana pietà dicendo: «in fin dei conti se l’è cercata». Tra questi vanno annoverati anche molti alpinisti del «vecchio stampo», quelli del tempo eroico, rimasti ancorati all’alpenstock e «all’asciolvere» di cara pionieristica memoria.

Chi era, in realtà, Angelo? Chi era questo tarchiato giovanotto, dagli occhi tristi, dalla fronte sempre aggrottata, al quale il pure scomparso Andrea Oggioni dedicò un «Nevado» nelle Ande? Angelo, non importano la data ed il luogo di nascita, era un ragazzo caparbio, introverso, forse anche timido, spesso scontroso, mai diplomatico. Dentro di sé sentiva confusamente di possedere le qualità per fare qualcosa che lo elevasse al di fuori della anonima massa, non per desiderio di celebrità, ma per poter ridurre, restringere, il numero dei suoi pari. Dentro di lui ribolliva sempre il calderone del nuovo, del diverso, del particolare. Di professione, ufficialmente, magazziniere di un grosso cotonificio gallaratese. A tempo perso, e alla ricerca della famosa «via», corrispondente di strani giornali, aspirante guardia daziaria, organizzatore turistico, e così via. Tutto questo fino al tardo autunno 1952. Quando scoprì la montagna, poco meno che ventenne. Fu l’amore a prima vista. La rivelazione. Il destino. Lo conobbi a questo punto. -|

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* = Riguardo il rimando che troverete all’asterisco: a fine anni 60 papà un giorno ricevette una telefonata e capii da quanto diceva a mia madre che avevano ritrovato dei resti, una scarpa e un pezzo di pantalone, se non erro ( perdonate se non ricordo lucidamente, avevo circa 7 anni e nulla sapevo di questa storia). Comunque sia  papà – penso proprio il giorno dopo – si recò dopo dove gli venne richiesto e confermò che quei resti erano di Angelo. Non so perchè chiamarono lui, a parte l’essere il suo piu caro amico, questo non lo saprô mai. Magari fu la stessa famiglia a chiederglielo.

Ci sono 0 commenti

  1. Serena Bucci

    Sicuramente continuerò la lettura … e cercherò il libro.
    Ho condiviso il link su face book (Serenella Maròla Bucci) … ho diversi amici “montanari” … loro, sicuramente lo avranno già letto il libro, non come me!
    Andavo a sciare a Macugnaga … sono della Valsesia e il Monte Rosa, la mia montagna, è sempre nel mio cuore!
    Ammirevoli i sentimenti di affetto e stima che trapelano dal tuo animo per il tuo Papà.
    Ciao, Serena

    • Alberto Bregani

      Serenella sei veramente gentile. Il libro purtroppo non è disponibile da tempo ( è passato “qualche ” anno) ma ho in mente di ripubblicarlo non appena ne avrò la possibiltà. Ne sarai certamente informata. Un caro saluto e ancora grazie. con amicizia, Alberto

  2. Giovanni Fatighenti

    Come sempre rimango senza parole dopo aver letto uno dei tuoi articoli.E tutte le volte riesci a smuovermi qualcosa dentro, a farmi sentire vivo e a riportare alla mia mente quanto grande e stupendo sia l’ amore per la montagna.Grazie ancora Alberto di condividere con noi questi racconti di uomini veri.

  3. pb

    E’ un racconto molto toccante. L’ho letto tutto d’un fiato. Forse complice la febbre alta che non accenna a mollare la sua presa, non so, ho resistito fino a pagina sei, poi un lacrima ha solcato il mio viso. Poi un’altra e un’altra ancora. Non mi commuovo facilmente, eppure questa volta è successo.
    E’ straordinario il sentimento di amicizia e la voglia di condividere la propria passione che affiora da ogni riga.
    Grazie per le emozioni che mi hai fatto provare.


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